Nel 1951, circa 9 anni prima che Maradona nascesse, Marguerite Yourcenar pubblicava le memorie di Adriano, un romanzo in forma di epistola cioè di lettera, in cui l’imperatore vecchio e malato consegna a Marco Aurelio la sua eredità intellettuale. C’è un passaggio, proprio nelle prime pagine del libro che mi ha folgorato fin dalla prima volta che lo lessi, avevo 19 anni, era il primo anno di Università.
Il passaggio era questo:
“C’è un punto solo nel quale mi sento superiore alla generalità degli uomini: io sono più libero e, al tempo stesso, più sottomesso di quel che non osino esserlo gli altri.
Quasi tutti ignorano in che cosa consista la loro autentica libertà e il loro vero selvaggio. Imprecano alle loro catene; a volte, si direbbe che se ne vantino. D'altro canto, trascorrono il tempo in trasgressioni vane; non sanno imporre a se stessi il giogo più lieve. Quanto a me, ho cercato la libertà più che la potenza, e quest'ultima soltanto perché, in parte, secondava la libertà. Quel che m'interessava non era una filosofia dell'uomo libero - mi hanno sempre tediato tutti, quelli che vi si provano - ma bensì una tecnica: volevo trovare la cerniera ove la nostra volontà s'articola al destino; ove la disciplina, anziché frenarla, asseconda la natura.”
La cerniera dove la volontà si articola al destino.
Maradona era un genio e un artista.
Come tutti i (pochi veri) artisti ha influenzato il secolo in cui ha vissuto, lo ha permeato con il suo genio, ha irradiato nelle generazioni successive germogli di speranza e meraviglia, che ancora oggi fioriscono e lo ha fatto perseguendo un fine più alto. Art for art's sake postulavano nei primi anni del diciannovesimo secolo. L'art pour l'art, uno slogan francese che stava a significare il valore intrinseco dell'arte, che solo “la pura arte” esiste, e non si lascia limitare né soggiogare da nessuna didattica, da nessuna morale, da nessuna funzione utilitaristica di alcun genere, gruppo o ideologia. Il fine dell'arte è la purezza dell'arte stessa.
Qual era questo fine in Maradona?
Maradona non giocava per la vittoria. La vittoria ad ogni costo e con ogni mezzo non era il suo fine, un fine che pure si ritrova in molti altri performer sia individui che organismi, per i quali vincere è l'unica cosa che conta – con le pressioni, con l'inganno, con la pietà, con la vergogna, con la violenza – non importa con quale mezzo.
Il fine di Maradona non era sfidare e infine sottomettere gli avversari, non era dimostrare la propria grandezza e il proprio valore.
Il fine di Maradona non erano neppure la fama e la gloria, né il culto di sé stesso, che pure si ritrovano in molti performer anche in questo tempo e in altri tempi passati.
Il fine di Maradona era performare oltre il limite. Il limite posto da se stesso, non dagli altri, il limite dell'ultima giocata contro le leggi della fisica fatta da sé stesso. Quello era il limite da superare. Performare sempre al massimo per sollevare anche di un solo millimetro l'asticella ogni volta. Ogni volta che era possibile.
Maradona aveva stretto una relazione pura con l'attrezzo del suo genio: il pallone. Si era autoeducato senza saperlo ad usare la sfera come uno specchio dove dialogava con se stesso, inseguendosi e ogni volta superandosi. In questo spazio dell'anima è scorso il talento, come un fluido. Fiumi di talento, ettolitri incommensurabili di puro talento. La purezza era il fine ma anche il mezzo.
Questa educazione spirituale è in contraddizione irriducibile con l'ideologia del professionismo a tutti i livelli. Centellinare le prestazioni, massimizzare le probabilità di vittoria giocando con il miglior undici possibile intorno, stringere rapporti con le società e gli organismi più ricchi e potenti per ricevere il massimo vantaggio dai favori arbitrali, dai salotti, dalle televisioni e tutto ciò che ne consegue in termini di compromessi e limiti e via discorrendo.
È una scelta ovvia per il 99,9% dei performer, ma era impossibile per Maradona. Perchè Maradona era un genio-artista e l'obiettivo dell'arte non è vincere, nè accumulare potere: l'obiettivo dell'arte è l'arte. L'approccio Maradoniano al pallone: performare sempre, comunque e in qualunque contesto. Diffondere l'amore e la gioia per la performance a tutti e senza limiti, come il pane, come l'acqua. Senza barriere, senza gradini, senza gerarchie.
Performare sulla sabbia, nel fango, a calcetto con i magazzinieri, ad Acerra contro il diktat societario, prima dell'allenamento, dopo l'allenamento, durante una festa, con le arance in diretta tv, con tutti o contro tutti se necessario, con Davide, contro Golia, contro ogni genere di divinità presunta o mostruosa che fosse, contro il Bayern di Monaco con una danza-riscaldamento che è un'opera d'arte per i posteri, contro la Fifa in persona se necessario al netto delle ritorsioni. Senza paura, senza risparmio. Senza calcolo.
Si capisce bene a questo punto – al di là di ogni esagerazione o beatificazione - perchè Maradona non riuscì a esprimersi nel Barcellona, né potè in nessun altro club strutturato: perchè l'establishment gli avrebbe chiesto l'uccisione del fanciullo in nome della ragion di Stato. Ma Maradona sapeva (o meglio intuiva) che niente di quanto gli si prometteva era vero come quel fanciullo, il resto era oro per gli stolti, proteggere quel fanciullo e la sua purezza era l'unica strada per arrivare all'appuntamento con il destino. Lo stesso destino di cui parlava Marguerite Yourcenar nel 1951, che sono pronto a scommettere Maradona non avesse letto, lo stesso destino che esiste da qualche parte in profondità dentro l'uomo, ma che ha bisogno di una volontà che gli faccia da cerniera. Lo stesso destino che contro ogni pronostico avrebbe portato Maradona a Napoli, al cospetto del Vesuvio nel 1984 e gli avrebbe detto Diego, Vai mo': libera il fanciullo e preparati a squarciare il secolo.
Maradona, la purezza e il destino.
La vicenda di Maradona è universale, ci riguarda tutti. Come tutti i grandi artisti, Maradona ha squarciato il luogo comune, lasciando intravedere che ci sono altre strade. Non servono premi, non servono attestati, non servono lauree: questa è roba che si diffonde nell'etere attraverso il tempo, è roba che germoglia nelle immaginazioni e nei sogni, roba che prende forma nei corpi e nelle coscienze senza bisogno di essere spiegata.
Qualcun altro raccoglierà il sentiero della purezza. Forse è già nato, forse sta per nascere. Probabilmente non giocherà a calcio. Probabilmente non sarà capito. Probabilmente io non lo saprò.
Non ho pianto, Diego. Non ce n'è motivo, il viaggio è stato perfetto, la parabola è pura. Provo gratitudine, semmai, questo sì: sono grato di aver vissuto questa storia, di esserne stato testimone, di averne assorbito il significato. Sono grato di poterla raccontare.
È una storia che racconta la meraviglia dell'uomo e del suo destino. Una storia ancora da scrivere.
Per sempre, ciao Diego.
Seguo progetti di architetture digitali dal 2005, quando mi ricordo che cercavamo la musica su Napster. Sono un data driven scout, il mio lavoro è portare traffico qualificato sui siti web. Ho un sesto senso per lo sviluppo dei contenuti, all'insegna della raffinatezza e dello charme. Leggo molto e vado al mare.
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Commenti e Feedback 5.00
30-Nov-2020
Davide
Poesia
29-Nov-2020
Junloo
Invito alla lettura soprattutto i non maradoniani e chi, per un motivo o per un altro, ha ostentato disinteresse e talvolta schernito, deriso e sottovalutato. Bravo Dan, netto, giusto, emozionante. :)
28-Nov-2020
Paolo Grassitelli
Uno splendido spaccato di gratitudine e filosofia, narrato con dolcezza e comprensibile e chiunque abbia un livello minimo di sensibilità al quale desideri piegarsi senza vergogna.
Bravissimo Dan, veramente toccante e semplice.